Stamani quando t’ho incontrato eri fermo davanti all’internet point. Sembravi in attesa oppure eri lì per telefonare, a parte che lì i telefoni non funzionano da mesi. E poi a chi mai potrebbe telefonare uno come te?
Non mi sono fermato a guardarti, in effetti non mi sono mai fermato a guardarti. Eppure potrei dirmi il tuo Angelo: non c’è stata una volta che vedendoti (per queste strade vado sempre di corsa) non abbia avuto una domanda o un pensiero su di te. I primi tempi perché rompevi l’uniformità del paesaggio conosciuto. Più tardi eri diventato parte di quel paesaggio. Qualcuno ti chiamava “l’indiano” e ti si poteva incontrare ogni giorno in un luogo diverso. Certo, non parlavi con nessuno e non facevi male a nessuno; ma certamente non eri uno di quegli stranieri trasandati o ragazzi con lo zaino che si vedevano da tanto tempo. Tu eri tutt’altro e non tanto perché quelli sparivano presto. Se qualcuno di loro restava, si vedeva dopo un po’ che stava male e che quello non era il suo posto; cominciava a infastidire qualcuno e arrivavano i carabinieri oppure l’ambulanza. Tu eri tutt’altro, infatti era evidente, quando ti si incontrava in un posto, che non eri lì per caso, che non eri un giramondo e che quel giorno dovevi stare senz’altro lì.