E nonostante questo, vi fu anche chi cantò che “il lavoro non si parla, il lavoro si lavora”;
ed era già un cielo bruno, un fuorivita che non si poteva nemmeno rendere, il ’99 forse.
Che ora, ventuno anni dopo, uno Stato pretendesse di rifarsi una verginità parlando il lavoro in dimostrazioni e dati quantitativi, fu di un’insopportazione che prendeva allo stomaco, la sconfitta era da dichiarare su ogni fronte, e con rabbia.
Perché se solo aveste tentato invece di mettere in ordine una vita lavorativa a partire dal giro del millennio, o pochi anni prima, è probabile che una vertigine avrebbe colto anche voi in un certo momento. Sì, perché evidentemente avreste avuto coscienza di come, e con quale cura, avrebbe potuto parlare della vostra esistenza una breve, lunga sequenza di contratti; e di come, e con quale cura, potesse essere in fondo anche molto, molto romantica.
Perché lì è un popolo di incontri e storie e sensazioni che si muove e si definisce attraverso ciò che effettivamente è stato, vissuto, è memorabile; viali, autostrade, rotatorie che hai percorso, e quali di quelli – tuttiquanti percorsi – avevi infine scelto o seguito fino al termine, un tempo.