Vi fu un’epoca, in vero, del breve assegno e delle stipule che ne seguivano, ancora imprecise, ancora sbilanciate, come una grande infanzia del lavoro in cui ogni cosa è motivo di interesse, ogni cosa è inizio e progressione, anche quella formalmente meno corretta, meno giusta.
Un bonifico dal cielo, anni dopo, in un pomeriggio di fine estate, finalmente schiarì l’aria dopo un’attesa di quasi due mesi, e la leggerezza così riconquistata permise di vedere nitide le regole: dovevamo attendere l’avverarsi di quel che chiamavamo stipendio quell’esatto giorno del mese. E sebbene ancora un poco in ombra restavano le mansioni, le attività – talvolta scivolavano lungo tutto il corso della giornata, ogni giorno, fino a sera – appariva come un importante passo in avanti lungo la via dell’emancipazione. Degli studenti che eravamo, dispersa ogni traccia, figuriamoci per chi non aveva mai voluto prendere in considerazione quegli abiti – da studente – per mille motivi.
Così, a partire dalla medesima fiducia giovanile di poter restare in piedi da soli, il mondo si disancorò dall’ultima, necessaria dipendenza di chi non può contare su una solida rendita genetica, familiare, portando così via con sé quanto di utile, colto in anni e anni di briefing, scadenze e buon clima organizzativo che si era imparato a creare, e pensò di investire tutto sulla propria autonomia.
Qui, per forza di cose, una piccola flessione al cospetto della logica dei tempi: si iniziò a sfilare, dunque, lungo la passerella dei lavori, indossando via via una interpretabile collaborazione coordinata e continuativa per incontri diurni, talvolta una prestazione occasionale per la sera, una mise più sofisticata nelle rifiniture – con rivalsa e ritenuta – per i grandi appuntamenti professionali.