IL MIO MIGLIORE AMICO

Sprofondato in poltrona, sorseggio whisky torbato in compagnia del mio migliore amico. Beviamo in calda penombra alla salute di Eraclito e del capitano Achab, che è quasi la stessa cosa. Ma non basta. Beviamo alla salute di Argo dai cento occhi. E di mia nipote, che di occhi ne ha mille. Germogliano intorno a noi piccole spine di cardo. Ci pungiamo le dita, ma non importa. Importa di più fare tardi. Progettare il rumore futuro. Importa, al momento, sorseggiare il nostro whisky torbato, delizioso elisire dai riflessi verderame, così punteggiato di aromi remoti, così disperato. Ma c’è un angolo nella penombra dove sta albeggiando qualcosa. Un puntino prende forma e va crescendo, sempre più bianco. Il bianco si espande e diventa pupilla di pesce, poi vescica di pecora, poi lunapiena. Poi enorme massiccio di neve ghiacciata. Allora il mio migliore amico, le mani sanguinanti di spine, con un balzo si avventa sulla roccia di ghiaccio e la divora. Sto inventando, mi dice, un nuovo punto cardinale che si frapponga fra il nord e il sud e ne neghi l’esistenza.

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