Io e questo branco di cani randagi – saranno quattro o cinque – ci guardiamo in silenzio. Cerco di pensare ad altro, ad una mattina al mare nel luglio dell’ottantadue, che l’acqua mi sembrava ghiaccia come un gin tonic. Che invece te, fresca come una pesca nostrale, ti tuffavi e nuotavi rapida come una tinca o un cavedano. E io lì con le mani aggrappate alle ascelle: non entro, no, nemmeno se mi pagano. Il momento esatto in cui scelsi di tuffarmi – perché alla fine mi tuffai – coincide con quello nel quale tutti i cani decidono coram populo di attaccarmi alla gola. E il mare si colora di sangue.
CANI RANDAGI
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