28 dicembre
arrivo a le kef, tre ore e trenta da tunisi, in autobus. passaggio lungo una campagna desolata, molto coltivata, aziende, prati verdi seminati di sassi, simile alla campagna a m. però in spazi più aperti. montagne basse, a distanza un altipiano elevato inclinato verso il cielo. la città è piccola, si articola intorno a piazza indipendenza. entrato nell’hotel del bey. vista la camera del settecento, tre volte a botte, coperte di piastrelle, sotto la volta centrale un letto a due piazze largo di legno. due letti piccoli sotto le altre volte a destra e sinistra della porta. le stanze affacciano su un corridoio che corre intorno a quattro lati di un cavedio fatto a cortile interno, ricorda un chiostro. spoglio. le camere viste sono molto piccole eccetto la camera famigliare. un ragazzo mi fa strada, sembra indifferente. vedo un uomo che telefona da un vecchio telefono all’interno di una cameretta con la porta aperta seduto su un letto. il ragazzo mi mostra piccole stanze, chiedo della stanza grande. il vecchio finisce di telefonare, richiama il ragazzo. mi parla, sembra cieco, guarda in alto o in basso, mai me negli occhi. parla francese con sicurezza è stato a roma, dice, sopra la cupola di san pietro, ha visto la mitria, l’anello e i gioielli del papa, capisco. mi chiede venti dinar per la camera. nella camera c’è un ripostiglio al buio, la camera non ha finestre, c’è una sedia bassa e larga interamente di legno davanti a una piccola scrivania. le decorazioni sono magnifiche le vedo di sfuggita. ma il bagno è in comune, il vecchio me lo fa mostrare. sono turche allineate, come i bagni di un hammam. prima che vada il vecchio dice che non c’è acqua calda. lo dice come una convinzione personale. fermo la cosa, fermo il ragazzo che stava scendendo a preparare i documenti. si sale per una scala buia, è tutto buio. la luce proviene dal cortile interno. una luce grigia, o azzurra senza forza. gli dico che devo pensarci, scendo, sento che il vecchio parla in arabo con durezza. prima che vada sale una ragazza molto bella la più bella vista fino a oggi, capelli castani, e potrebbe essere italiana. si ferma lungo il corridoio e ascolta mi sembra anche se non la vedo, esasperata la conversazione del vecchio. forse i ragazzi non riescono a tenere il gioco del vecchio. il palazzo è degno di un cieco come se un cieco si occupasse della pulizia e della luce.
prima di entrare ho atteso a lungo seduto contro la balaustra che dà sulla piazza della fontana. si vede una piazza, un’altra piazza quadrata, su cui affaccia la moschea. si vede una porta e dietro ragazzi che giocano a biliardo. poi un’altra porta e non capisco cosa fa vedere, un corridoio. un ragazzo piscia mentre il minareto si illumina e il muezzin canta – la lanterna sopra la torre del minareto è sormontata da un tetto a cono. luci al neon si accendono sotto il tetto e sopra le finestre da cui sporgono gli altoparlanti. guardo il tramonto molto rosso, viola. un tramonto intenso. poi viene il buio. sotto nella piazza c’è la fontana che non dà acqua. distante un altro minareto illuminato in alto. la torre principale culmina in una torretta o lanterna. mi annoio. vedo una bambina bella che accompagna due bambini piccoli. la bambina mi guarda una volta, poi mi guarda e dice piano salaam, sorride, mi sento importante e mentre saluto un bambino inciampa sul mio piede. ha il cappuccio. mi piego, lo prendo sotto le ascelle e lo sollevo, piange piano. davanti oltre la strada sotto le finestre dell’hotel c’è un caffè affollato. solo uomini. ci sono caffè e ci sono quelle che sembrano vinerie. stessa disposizione, solo al posto delle ma