LA DEVOTA

Quella del circo è una storia che sappiamo a memoria: alcuni si porteranno dietro un ricordo struggente, ameranno gli animali, svilupperanno il senso dei colori e del rocambolesco, altri saranno perseguitati a vita dai pagliacci, da pierrot ossessionanti e dalla paura del buio o dei cavalli. La vita di Abdul Mami Siskì, invece, non somigliò né a l’una né all’altra. Un’esistenza piuttosto semplice anzi che si racchiude volendo in queste poche righe: per quanto cercò di prevedere ogni impedimento, misurò le distanze, calcolò il vento, pesò – addirittura – gli abiti che avrebbe indossato, fece la prova più volte, tornò indietro, ricominciò da capo, corresse un piccolo rigonfiamento, scartavetrò il pavimento – solo là dove occorreva, ovviamente – non somigliò mai a nessuno che non fosse lui stesso. Persino quando riprese la sua forma naturale di drago raccontata da Gaio Giulio Solino e Pomponio Mela. Quando sputò il fuoco sulla folla, passò sui corpi ardenti, volando lungo tutto il fondale e dietro le quinte. Fino alla toletta del camerino, dove rientrò nel barattolo, richiuse il tappo. Si sciolse definitivamente in cerone, figlio di Trittolemo.

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