ALEBRIJE

Occupa il fondo del corridoio, uscendo dal bagno. Dall’altra parte il salotto, modesto, accogliente. A circa due terzi del corridoio un’apertura sulla sinistra, la seconda, senza porta: una cucina sottile. Lì dentro stanno impiattando, una conversazione a bassa voce e una finestra socchiusa. Lo spostamento d’aria di un sorriso dalle narici, forse di lei, segue l’esaurirsi dello sciacquone alle spalle.

Nel ricordo, il divano in salotto è una sensazione attenuante. Nel ricordo, la sensazione attenuante è contraddittoria: aumenta il dolore. Una dose di colpa in più. Nel salotto la finestra spalancata, il balcone stretto: poco più della scarsa sporgenza dell’inferriata. La bambina, un vestito ondeggiante sopra gli incavi delle ginocchia. Nessun nome, nel ricordo, ma una schiena di bambina e un colpo di vento, molto forte e improvviso, dal mare. Due ante che si chiudono di schianto e si riaprono a metà, spinte da se stesse. Nel ricordo, il cuore della bambina e il suo movimento scomposto: il primo immaginato, visibile quanto il secondo. Un cuore visto da dietro, da dentro, che cambia ritmo a due vite, con esiti diversamente conclusivi. Un suono di metallo che si separa dal metallo con un sapore di ruggine. I denti serrati. Come sabbia che scricchiola nella pressa delle arcate. Non più di dieci metri a separarle ma una corsa in leggero ritardo per un accenno di scivolamento, subito domato: un cambio di attrito, la diversa pavimentazione, l’inizio di un parquet tirato a lucido a segnalarle ufficialmente che non è più nel corridoio. Un ritardo leggerissimo, come il cotone sfuggente tra il pollice l’indice e il medio o la tenda ancora agitata sul viso. Nel ricordo, che ora procede all’indietro, l’inquadratura a sinistra – la seconda apertura – di un bacio di lui sul collo di lei. Sul collo di lei un neo pronunciato come una parola di troppo a un centimetro dalle labbra di lui. Le labbra di lui.

Ancora: il turismo esibito di un viaggio in Messico non suo: un alebrije dà le spalle alla bambina, da una mensola sul televisore in salotto. La guarda, nel corridoio, mezzo secondo prima che il piede sinistro tocchi il parquet scivolando. L’odore di carne rossa e lo stesso colore che non dovrebbe essere lì, dove lo vede adesso, in basso.

Fuori dal ricordo, nel letto, i piedi continuano a correre, incessantemente. Se glieli tengono fermi, la fuga si sposta alle dita: grattano frenetiche i resti infiammati di un neo sul suo collo e poi puntano alla schiena.

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