Rimangono le parole, brevi tracce,
sono perduti invece i campi, il fiume,
l’angosciosa infanzia, e forse è un bene,
annienta la voragine che inghiotte
quel che è stato, anche se la bellezza
si nutre della morte dell’azzurro,
e si strugge il cuore nel non più
mentre a rotta di collo si procede
in questa incomprensibile corsa
verso quale abisso? quale luogo
denso di neve? come se l’inverno
fosse il destino di queste ombre
che appaiono e si raccolgono
attorno ai fuochi per cercare un po’
del perduto calore della casa
col corridoio al centro e la soffitta
abitata dai ragni con le strette
finestre sotto il tetto che guardano
il pioppo che fruscia al vento come allora,
in questo polveroso crepuscolo
nell’ultimo raggio che illumina la terra.