- Leggere a volte è una sconfitta; è arrendersi a una corrente diversa, o contraria. Come se rifiutassi di seguire un pensiero, per paura di scoprire dove va a finire – per paura di scoprire che non finisce, da nessuna parte, che solo gira su se stesso finché non ti consuma.
- In questa parzialità aforistica, incompleta, contraddittoria, c’è la stessa essenza di cogliere, in treno, solo alcune parole che conosci della lingua straniera parlata dai vicini di posto,
- mentre fuori scorre la campagna nell’alba e grossi uccelli molto bianchi assorbono immobili il primo calore.
- Tornando al tuo vestito, a pensarci bene, a volte mi ricorda un premaman, a volte quei tagli etnici larghi, sciancrati.
- Ci fa sempre sorridere dire “premaman”.
- Dormi sulla mia spalla e cerco di muovermi il meno possibile. Le straniere accanto si fanno un selfie sporgendo le labbra.
- Una facciata di casa coperta dall’edera, con le piccole radici a ventosa saldamente attaccate al muro esterno, ricordo qualcuno – qualche vecchio esperto di tutto – dire che a lungo andare l’edera rovina le case.
- La ventosa tira e raggrinza l’intonaco; destabilizza il cemento, lo perfora; risucchia l’aria e dissecca le persone che stanno dentro.
- È per questo che le case coperte di edera sono quasi sempre vuote. Anche questa lo sarà presto, ero bambino, avevo una bici nera e gialla con le rotelle e le ruote di gomma piena, davanti al muro di mattoni a vista che appena è stato intaccato dalla pianta.
- Mia madre annuisce appena, con gli angoli della bocca tirati lievemente in giù, in contenuta ma sentita disapprovazione per avermi sentito dire parolacce – non mi ero accorto che era lì sul portico, col pancione, seduta sulla sedia di plastica a fare le parole crociate.
- Poco prima di andare via.
- Passa qualcuno che parla francese, hai un sussulto.
Immagine tratta da W. Kahle, H. Leonhardt, W. Platzer, Taschenatlas der Anatomie für Studium und Praxis, vv. 2 e 3, Stuttgart, Georg Thieme, 1979