MEMORIA DELLE ORBITE VUOTE

Alla seconda scossa un fulmine si stacca dal poligono di Willis e vola in 135 millisecondi al piano attico della sua esistenza. In quello spazio T brucia due case, distrugge otto vetture, perde cinquanta chili e compie un giro completo dell’equatore: è passato attraverso la hall dell’hotel Florida Messico, ha raggiunto la muraglia cinese, ha sfiammato dentro una tenda del III fanteria dislocato a Charkiv e davanti un appartamento di San Vito finalmente si è fermato. Parmenide di Elea ha aperto il portone. Lo zio Totuccio gli ha scaldato le mani. Una signora che non aveva mai visto prima gli ha tolto l’ultimo po’ di fango dalle scarpe. In quel preciso istante, nell’aula di una quarta classe della scuola Roncalli di Ravenna, così come in qualsiasi altra quarta classe dell’intero emisfero boreale, accade allora che si pianga una morte: il primo della fila distoglie gli occhi dal sussidiario e guarda la maestra; l’intera classe si alza subito dopo.  La signora apre il palmo della mano e mostra una pallina irregolare: è un piccolo sole acceso, ma non brucia. I ragazzi guardano spaventati. È in tutto e per tutto uguale, talmente illuminato come un sole vero.

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