Dune di ferragosto gialloro
intrecciare silenzi
con rare palme druidiche
sul mare che sonnecchia
tramontando
Avresti dovuto perdere
con il gusto e l’olfatto
anche la vista
mentre il gelo ri rode il giochino
In quell’assenza che chiamano spazio
e in quell’attesa che chiama vertigine
tu rifai il verso alla vita
ricostruendo nelle pagine di un giornale
la dolcemente sanguinosa ferita
di un finale di maggio
La corona di pietre alle tue spalle
arida di qualche ciuffo celtico
stranito regola la comunicazione
della dissenteria urbana
E più ti fai interlocutore di speranze
più ti meticci nella prodigalità
di chiarezza
più ti rapisce la malinconia
del segreto