Occorre tarlare per vedere la colpa.
Aggirarsi come lombrichi al centro del frutto. Contrarsi e stirarsi. Scavare corridoi. Divorare buchi. Ingrassare di morsi.
E poi lei si presenta, parvenza di torsolo. Sguardo cieco, ghigno lungo. Segmento di legno tra due poli di resti.
Ti distendi sopra, con tutti i tuoi anelli di muscoli. Intorno a quest’asse farò nuova terra – dici.
E, così, ruotando, compi la tua rivoluzione.
Chiudi la C e la allunghi in P. Polpa in luogo di colpa.
Eccola la mela, piena e tonda, pronta a figliare altre storie corrotte nel seme.
I denti limano la superficie e sprofondano, con meccanica da forcipe.
Sgravidano la linea curva. S-(p)olpano.
In bocca entra un cranio di colpa. Un pomo d’osso in cui strisciare il respiro.
Di notte in giorno., in loop.