ADDIO ALLE SCARPE

La mattina del 27 febbraio il colonnello Gatto, con oscura determinazione, rinunziò alle calze e alle scarpe e si preparò ad affrontare la giornata in questa imperfetta uniforme.
Tossì un’ultima volta sul pianerottolo. Chiamò l’ascensore pensando che il passaggio dalla moquette dell’appartamento al marmo condominiale non era stato così traumatico, considerando la bassa stagione.
I calli? – si chiese, forse con eccessiva pedanteria – oppure il pregiudizio che il marmo, comunque, anche in forno, resti freddo? – In compenso, sentì raccogliersi nelle valli delle dita dei piedi, un cospicuo contingente di polvere.
Questo malgrado fosse lunedì.
Come ogni mattina, appena decisamente chiusa la porta dell’ascensore (è strano come una mentalità militare sia perfettamente riconoscibile anche osservando chiudere l’ascensore!), salutò la portiera e gua-dagnò con passi marziali l’uscita.
Ma sullo stuoino gigante del portone fece dietrofront e, sconvolgendo la povera donna che non aveva mai avuto l’onore di avere rivolta la parola, le puntò l’indice.
Questo indice decoratissimo non aveva, in verità, nulla da invidiare alle baionette che noi italiani usammo sul Carso; da questo indice, percosiddire, carico, dalla sua bocca rotonda e monodentata partì il primo e definitivo colpo: – Se non sbaglio, è proprio di lunedì che lei ha dichiarato al Consiglio Riunito di questo Condominio (Gatto, lo dice il nome stesso, non era tedesco ma era un generale, bisogna capirlo) che avrebbe ottemperato l’impegno di pulire queste nostre scale! – E così dicendo, si rivoltò militarescamente, e scomparve alla vista della portiera. La quale, non si può dire quanto fosse ancora meravigliata della confidenza o, invece, spiazzata dalla scalzità proprio ingiustificabile del più austero inquilino del palazzo più austero del.
Più rapido con le palme dei piedi che con le suole, il colonnello aveva intanto raggiunto l’angolo vicino, svoltato ed adesso si trovava in attesa, tra una torma di studenti medi, bassi e alti, alla fermata dell’autobus.
Vi rimase tanto a lungo, ad aspettare chissà quale autobus che non arrivò mai e mai sarebbe dovuto passare da lì, che i giardinieri, su ordinanza dell’assessore alle Ville e Giardini, vi scavarono attorno una aiuola, la riempirono di buona terra di torba e la protessero con un’inferriata gentile e barocca.
Rigogliose piantine di violaciocca e di nontiscordardime col tempo e la buona stagione occultarono pigramente le nudità.

 

1995

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