ULTIMO GRIDO

A Giacomo Leopardi

 

e senza vento nei querceti abissati di luce

eterno alterco tra morte e vita eterna

è l’incessante sferza, timbro

di suono recondito perso racchiuso

nel fiore ultimo grido,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

adorata ginestra contenta dei deserti.

Limpida sfera indomita vita mortale

che splende pensieri soavi,

cessa la bianca tempra crolla la beltà

sincera, s’infuria il piglio giovane

ardire, maligna funesta la sovrana veste

che grigia ricopre la volontà pestata.

Natura matrigna brandisce

corpi d’ineffabile debole

statura, piccolo l’uomo sotto il peso

d’una volta gravida di tempeste solitarie,

menzogne di un tempo relegato

in un lembo di caosmos,

tetra la via spianata dalla luna

che di lontan rivela serena. Placido il picco

del trastullo segreto, giardino nefando scrutato,

scolpito il disegno d’un’arida

fetta di sintesi celeste.

Infinito il volteggio di passi stenti,

vertebra schiacciata, capo reclino,

somma ostentazione, torme di pensieri,

sudate carte, occhi fissi oltre

questa siepe. Empia vile la terra

che accoglie il rustico abitante

di schiere pedestri, sprezzante

pungente l’astio che muove

la mano altera sottile, magra visione

di un trasognato respiro

pulsante ma franto, blasfema sintesi

di assurde convenzioni ciniche,

aggiogati buoi trascinano ansimanti

passi lugubri perturbati disegni presagi,

si abbatte la scure sul capo

immobile, deciso il colpo fendente,

scorre il sangue in vie tortuose,

grumoso greve torrente

odio questa vile prudenza che ci agghiaccia,

incursioni maldestre affollano la mente

del poeta-filosofo, magnanimo dispensatore

di riflesse voci tornite radicate:

un masso che giace nello stagno immoto:

placida notte e verecondo raggio.

Sovrumani silenzi offuscano

obbrobriosa etate che il duro cielo.

L’anima è viva, disattesa

l’estrema follia, dolcissimo

possente dominator di mia profonda mente

siccome torre in solitario campo,

vigore a illusione compagna grata

finzione interiore metafisica della passione.

Da tesa mano ribelle corda vuota,

vibrazione pulsante senza fine

Erra l’armonia.

Forma che muta la sostanza,

intervalli logaritmi stasi di tempo

perduto ritrovato, consumato

da memoria cinica.

Dotta e significante poesia,

maestria gioconda solitario volo.

Ohimè quanto somiglia

il tuo costume al mio.

Errante indefinito e forsennato

battito d’una lacerante primavera.

Morirai senza aver aperto gli occhi al mondo,

lui nel rimpianto li fisserà

superbi verso il cielo frastagliato e fosco,

lontanando morir deciso e vinto.

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