“Grande albero, sperone del Cannocchiale,
rilevandolo per N quarta a Est.
Isola dello Scheletro, per E quarta a S.
Dieci piedi”.
Robert Louis Stevenson, “Treasure Island”.
Divembre. 1.1.
Secondo dopo secondo, ineluttabilmente, il cielo, ridondante di presaghe nuvolaglie di un abbacinante rosaporcino, diventa sempre più scuro. Quand’è nero come l’ossidiana eoliana, si stella. In questo preciso istante, il silenzio caldoumido che ristagna nel lussureggiante “Giardino” viene imperiosamente zittito da una frenetica attività animale. Un imbambolante,scavallato accavallarsi di rugli & tafferugli, di trapestii & frulli, di strida & saettamenti, di scazzi & fregole, di cozzi & brulichii, di fischi & fiaschi e tonfi & tanfi d’ogni sorta – per lo più azzardati preludi e/o conclusioni più o meno felici d’agguati, fughe, sfide, transiti, crapule, selvaggi accoppiamenti – che sconcerta e affascina, che annichilisce ed acquieta, sconvolge e, dulcis in fundo, rapisce. Senza ombra di dubbio, sono proprio tutte queste sensazioni contraddittorie a far nascere in me, in me che fino a qualche attimo fa ero di un umore così cupo da sentirmi inequivocabilmente in rotta con tutto e tutti, una ambigua voglia pressante, palesata subitaneamente da un sospiro sonoro, uno di quegli “Ahhh!!!” spettacolosissimi che scaturiscono spontanei dal più profondo di noi stessi col preciso compito di liquidare di un colpo gli assilli di un momento particolarmente stressante, di riappacificarmi col mondo intero. Benebenebene!!! E ora? Beh, ora, come ogni sera, non mi resta che serrare mentalmente e con metodo porte, finestre, cassetti, lucchetti, interruttori e rubinetti, sprofondarmi nella poltroncina di vilpelle nera preferita e, tutto solo soletto, godermi…Gli agghiaccianti ruggiti risonano contagiosissimi nell’oscura boscaglia. Fanno tinnire intollerabilmente il soffitto e le pareti di spesso vetro della casa! Sopraffanno ogni verso animale. Coprono ogni rumore. Rimango immobile, muto come un pesce. Sto in attesa. E scruto invano per interminabili minuti l’impenetrabile boscaglia finchè, ingigantendosi a vista d’occhio man mano che avanza ‘mverdicandosi fra le intricatissime ramaglie dell’impraticabile sottobosco, una schiva, informe macchia giallognola non sbuca dal fogliame parpaglioneggiante e, confusa a tratti all’erba alta, spinosa, secca, polverosa e ondeggiante per una brezza leggeraleggera, attraversa zigzagando veloceveloce lo spiazzo antistante la casa. A bocca aperta come san Giuseppe da Copertino, osservo annichilito, rimpiangendo ad ogni zampata orba la stolida solidità di un tradizionale muro perimetrale di pietra, l’enorme leone che s’accanisce con i potenti artigli contro l’imbelle, – Ahimè – sempre più fragile barriera già scricchiolante di vetro che ci separa. Frattanto, laggiù, …