Divembre. 2.2.
Un sottilissimo strato di ghiaccio chicchiriante ricopre ogni cosa, sceglie, scioglie e confonde le tracce. Raggiungo la mia auto guidato dalla lucina mezz’assiderata di una lampadina da pochi, miseri, tristi watt, la stessa che sovrasta da tempo immemorabile la stretta porticina di un W.C. lontano, lontanissimo se si è ormai ubriachi come una scimmia e se, per di più, si è in balia di un bisogno corporale impellente. Non è stato facile avviare il motore, ne manovrare agevolmente, senza far danni, fra una selva d’auto in sosta nel vasto piazzale. E se un qualche centinaio di metri più tardi, mentre, fischiettando un motivetto qualsiasi puntavo deciso verso il vicino paese, sono riuscito a salvare la pellaccia, lo devo, oltre che alle mie rinomate abilità nella guida, anche ad una fortuna che per tutta onestà è poco definire sfacciata! Alla fine di un lungo, interminabile rettilineo, infatti, poco prima di una curva ritenuta dai più e a ragione proverbialmente pericolosissima, i tradimentosi abbaglianti strabici di un veicolo sopraggiunto a folle velocità dall’altro senso di marcia mi hanno reso temporaneamente cieco. Pochi, inenarrabili attimi di smarrimento al quale ho reagito, cosa che stava per essermi fatale, d’istinto. Per farla breve, ho letteralmente piantato entrambe i piedi sul pedale del freno – mai l’avessi fatto! – e tutte e quattro le ruote bloccandosi bruscamente hanno cominciato a slittare sul fondo stradale ghiacciato. Pertanto, per riuscire a mantenere il controllo del mezzo impazzito ho dovuto, correggere più e più volte con millimetriche sterzate e azzardatissimi controsterzo non so quanti insidiosi testacoda. Meno male che, subito dietro la curva, una soccorrevole, festosa pioggerellina ‘assuppavittranu’ ha dissolto l’effimero manto di sordido gelo e mi ha restituito impaurito sì, ma incolume, al familiare paesaggio avito… L’indomani, ad allontanarmi da questo incubo, sono le tante già stridule voci ancora impastate di sonno di una chiassosissima folla di bipedi sgomitanti che s’accalcano davanti al luminelloso bancone per consumare una velocemente lenta, seconda prima colazione: provocante, corroborante ma, a tratti, tanto intenso da diventare persino insopportabile, un forte aroma di caffè aleggia su tutto e tutti! Spazzo via col dorso ossuto della mano la cispa coriacea che m’annotta entrambi gli occhi. Stiracchio muscoli, muscoletti e cartilagini. Riordino alla svelta la biancheria intima e certi assai sboccati rimasugli di sogno che hanno l’ardire di attardarsi nei miei irriferibili pensieri e m’affaccio scatarrando come un vecchio tabagista alla finestra rimasta aperta tutta la notte. Volgo lo sguardo a Est e rendo omaggio al nuovo giorno urlando un sentitissimo, mentale “Bhuh!!! …Buvah!!! …Svah!!! -: un sole pigro tarda, ma la ‘tardanza’, …