Quotidianamente aggiungeva bolo e mollica, sporco e bianco alla cicatrice tra alba e notte.
I resti del giorno si appiccicavano al nuovo pasto e portavano verso il fondo, oltre il rosso verso il nero. Non pensava. Si limitava a costruire la sua corda, morbida e spugnosa, d’un tratto scabrosa. Così vedeva la sua vita, di passi e morsi, masticata e intonsa. Quando non vi fu più materia per allungarla, la fune si fece cava, girando su di sé, per autoalimentarsi. Divenne il proprio cappio. I punti saltarono e il giorno visse da solo, senza il suo buio. Prese il pane, trattenne la crosta ed escoriò ogni lamento. Senza vincoli si fece eterno.