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Si fermò di scatto per alcuni interminabili secondi raggomitolando il codone fra le zampe e s’accovacciò, gli occhi semichiusi, in attesa della preda che con una sola e proditoria zampata avrebbe ghermito senza scampo. Non dormiva e vedeva e udiva ogni cosa ad un raggio sconfinato, sembrava cercare qualcosa che potesse svelargli il destino. Quando – non saprei dire dopo quanto tempo, ma forse dopo giorni e giorni e giorni, si mosse impercettibilmente, si trovava in mezzo a un campo d’azzalee, circondato alla lontana da un ronzio di metropoli. Si tirò su sbadigliando con delicatezza, estrasse una lingua dardeggiante a sfiorare il polline dei fiori, puntò gli occhi sull’infinito e cominciò a strusciarsi morbidamente contro i cespugli rosati che andava incontrando.