Dunque si torna in placenta, scivolando giù per il piano inclinato della vita, dopo l’erba, il fango, i sassi, all’ombra dell’acqua che non riflette più sagome di cartapesta ritagliate tra dubbi e ipocondrie. Senza sguardo si vede la cima del cordone che per la prima volta ha sfamato e ora pesca la carne fatta conchiglia, guscio ripiegato d’ogni desiderio.
Ormai si è dentro il cerchio aperto delle nuove nascite, nel sacco schiuso che riprende parola.