Divembre. 4.2.
Tranciate di netto con un colpo solo da scuri affilatissime, milleuna permalose gomene ora pencolano pigre dalle rugginose ringhiere dei balconi. Un solo istante dopo, il suono sprezzante di una sirena stimola la sfaccendata, sterile curiosità paesana: finalmente, era ora!, il transatlantico alla fonda da una decina d’anni davanti ai garage di via Dante si muove. Prende il largo scivolando pianpianino sulle creste polverose della grigia pavimentazione stradale mappata dai pneumatici. Dietro non biancheggia alcuna scia. Ma l’aria è già satura di iodio. E un sole già alto infastidisce non poco gli occhi. Saluto i vicini accorsi numerosi ai balconi. Mi sbraccio. Non una lacrima però, nessun ripensamento e, figuriamoci, nessuna nostalgia! Ma quanti groppi alla gola da sciogliere e subito riannodare strettistretti allo stomaco quando, poco più avanti, dopo una brusca virata a dritta, con una manovra che è poco definire avventurosa, il transatlantico riesce ad infilarsi di forza in mezzo allo strombazzante traffico veicolare che scorre lento lungo il corso principale…. Quand’è che una voce impersonale amplificata dagli instancabili altoparlanti piazzati ad hoc in ogni punto della nave ha iniziato a ripetere come un disco rotto quelle cinqueseisette parole che sottilmente insinuano strane cose a proposito dei nostri bagagli? Insieme ad altri irritatissimi passeggeri affluisco nei pressi del ponte di comando. Ad attenderci c’è il capitano, un algido donnone che, ignorando abilmente ogni nostra rimostranza, ci intima e senza tante cortesie di seguirla passopasso e ‘Muti!’. Muti e rassegnati avanziamo a tentoni rasenti alle luride pareti dei labirintici corridoi mal illuminati e, giùgiù per tutti i ponti, procedendo in fila indiana sui viscidi gradini delle anguste scalette a chiocciola, giungiamo in una stiva ventruta dove occhieggia una grossa falla errante. Sgomenti, tentiamo di turarla coi nostri indumenti… Niente da fare! L’Aldilà irrompe prepotentemente nell’Aldiquà: solo facendo solecchio si riesce a scorgere l’invitante boschetto di robinie che lussureggia su una altura. Non resisto… tutto solosoletto, mi incammino lungo un cinguettante sentieruccio appena accennato sul terreno graziosamente traforato dall’ombra degli alberi che, cento rapiti passi dopo, senza alcuna spiegazione, mi abbandona sul limitare di una radura al centro della quale, circondato da tende di pelli d’animali, c’è un lunghissimo abbeveratoio. Tutt’attorno a quest’ultimo, sul selciato viscido di limo, fra rane gracidanti e sciami di zanzare, un’orda di zanni (zingari) danza! Non visto o, più credibilmente, non degnato d’attenzione, riesco a intrufolarmi in una tenda dove sparpagliati su dei tappeti, giacche, calzini, calzoni, gonne, camicie, guepiere, cravatte, cappelli, mutande e mutandoni fanno girogirotondo quant’è bello il mondo attorno a reggimenti e reggimenti di scarpe spaiate che marciano a passo di parata verso gli agliacei vuoti delle valigie sbadiglianti accanto al grosso palo di sostegno …-Frrr … fr … Di punto in bianco, …