Erone Cretese riporta nei suoi diari di viaggio il bizzarro e breve soggiorno tra i Nuvolandesi. Producendosi il caso che volle al contempo Erone peregrino per le più alte vette dei Monti Balcani e gli strati del cielo particolarmente supini sui picchi, l’esploratore venne in contatto con gli abitanti delle nuvole. Leggeri e generalmente privi di piedi (che altrimenti affonderebbero nell’impalpabile appoggio trascinandosi dietro lo sfortunato fin per terra), questi curiosi indigeni colpiscono l’antropologo per la noncuranza con cui conducono la propria esistenza, tutta fatta di saltelli fisici, semantici, fantastici, improntati all’improvvisazione e all’imprevidenza. La loro lingua, più che per comunicare informazioni e comprendersi, pare costruita per facilitare le divagazioni, l’immaginazione e la confusione. Similmente, il loro sistema di numerazione, anziché per contare, sembra piuttosto atto a misinterpretare le figure geometriche, imbrogliarle, figurarsene di nuove. Quando le nuvole s’impregnano troppo d’umidità, vuoi per la pipì o per coalescenza, rendendo il suolo pesante sotto la loro assenza di piedi, i Nuvolandesi si spendono in confuse danze della secchezza per impietosire i loro dei rarefatti e liberare il gravo sulle teste dei dannati. Nella loro strampalata cosmografia infatti, il mondo di sotto è destinato ai demoni ingannatori che seducono l’uomo con promesse d’inverosimili futuri da costruirsi rinunciando all’estasi dell’attimo e del caos, con pianificazioni ed economie e finanze, e ai penitenti che un tempo son cascati nel tranello e, conseguentemente, giù per terra. Questi, inconsapevoli e goderecci, alzano le braccia al cielo e ringraziano un qualche altro dio per aver rinfrescato una calda giornata d’estate.
(da FRAMMENTI DI UN’ANTROPOLOGIA FANTASTICA)