TRISTEZZA DI VENERA YANBARISOVA

Mi pensi da un luogo che non posso pensare. Una stanzetta che dalla tua vecchia casa conduce alla miniera di Hallstatt, nel nord dell’impero austro-ungarico: l’unico posto al mondo con 248 dimensioni. Basta entrare per la porta per congiungere Guidonia Montecelio all’Austria di un secolo e mezzo fa in uno schioccare di dita; mentre mi pensi, dici, sei dentro eppure vedi te stesso in quella camera da fuori, vedi il tuo primo bacio a una farfalla monarca, i tuoi pensieri, i miei, quello che predilige ogni abitante di Siracusa, un’auto ferma davanti a una ferramenta nel Bronx e un’estetista di Kuala Lumpur alle prese con un’unghia sbeccata. Capisci che non ne avrai mai alcun guadagno pratico né nulla di immediato. Ma in quella stanza riesci a vedere finalmente i fremiti di un nervo vago scoperchiato e a condividere i pensieri di un delfino. Giustifichi con cuore aperto il pianto di Gogolad’ze, l’allegria di Nazmi Yalnazmi e la tristezza di Venera Yanbarisova che cercò l’amore tutta la vita senza trovarlo mai.

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