Genbraio 2.3.
Tengo il fianco ben incollato alle pareti di uno bel spento verdemilitareannicinquanta e, a volere essere precisi, più che camminare lumaco, attento a non scivolare sui viscidumi che abbondano sui pavimenti di questi vasti ambienti che si susseguono uguali e quasi tutti quanti annottati da ’scuruse’ lampadine che pendono, ondeggiando ad ogni bizza di brezza, in fondo a fili elettrici rivestiti con sboffi di veline ormai sbiadite e stizziate di scacazzatine di mosca. Cosicché procedo a naso, girando spesso a vuoto perché sviato di continuo da una insistente scia odorosa – un invitante mélange d’aromi di cibo abbrustolito – che, com’era prevedibile, alla lunga finisce per condurmi davanti a una stretta porticina a vetri smerigliati, irta, specie sugli austeri pannelli inferiori, di riccioli crepitanti di smalto nerooro. Questa si apre cigolando all’interno di una saletta rettangolare illuminata appena dalla luce che penetra a stento attraverso i vetri impolverati di una finestra, al di là della quale, un mare spazientito, d’un verde lattiginoso cerca di spingere al largo una barchetta nera beccheggiante in mezzo a onde ricche marce di spuma. In un angolo, sovrastati da nivee nuvolette fumettistiche, tre sconosciuti seduti attorno ad un tavolo coperto con una logora incerata punteggiata di molliche ubriache, sgranocchiano distrattamente fette biscottate stracariche di marmellata e ingollano fredde bevande gassate. Sul ripiano di una sgangherata credenza, dimenticata o più probabilmente lasciata a bella posta là sopra ad uso e consumo dei più curiosi, non si può non notare una grande busta chiusa d’un giallo bisunto, stropicciato. In basso a destra, vergato con una grafia minuta, assai curata – le zampette d’ogni lettera, corte e polpacciute, sguazzano educatamente nelle sbavature d’inchiostro violaceo – si legge il mio indirizzo. Sempre a destra, stavolta però più in alto, annullato con una esagerata stampiglia ottagonale recante una, illeggibile località di provenienza, c’è un francobollo che riproduce il viso di quand’avevo ***…