E si sgomberava questo garage, grande, un garagione, e si trovava, in un baule, magari, roba vecchia di chissà quanto, oppure mezz’ancienne, modernariato direi, come una piccola cosa in plastica raffigurante la tazza del cesso, tutta in plastica bianca, con tanto di tubi di scarico e ciambella apribile. E allora – a questo punto – io introduco, come da preesistente accordo con la S.V., la figura di un operaio che torna stanco, la sera, al giaciglio di pagliericcio in uno dei casotti in carton gesso che la fabbrica mette a disposizione degli ultimi arrivati. E la bambina al suo fianco che saltella di qui e di là, gli chiede: cos’hai fatto babbo, oggi, eh, cos’hai fatto?
Tesorino ho fatto dei magnifici cessi di plastica in miniatura, ne ho fatti settemila e trecento. Mi sento realizzato, ho un ruolo. Adesso andiamo a mangiare il nostro mezzo chiletto di ghiande.
Arrì.