Passeggiare, osservare gli spazzini con le ramazze antiche, fatte con l’erica, che da noi si chiama scopa (appunto) – scegliere le buste giuste, col colore giusto, il vetro, la carta, l’umido, la plastica: è diventato difficilino buttare la spazzatura, e raccoglierla anche di più. Si continua a passeggiare – rimpiango la mia canina che mi faceva compagnia nei miei giri mattutini – le prime saracinesche ad aprirsi son quelle dei giornalai, poi i tabacchini, poi i bar, poi gli alimentari. I panifici non contano, neanche le pasticcerie. Un po’ come il Pronto Soccorso, o il carcere.
Mi è sempre dispiaciuto non vivere in un paese di pianura: per via della possibilità di andare in bicicletta. Quassù andare in bicicletta è impossibile. Troppo scosceso, salite tremende: niente da fare. Quando abitavo a Pisa invece ce l’avevo, anche a Berlino, ed era una gran cosa. La bicicletta è un’invenzione intelligente. E’ rilassante, è signorile. Si, si: è signorile. Fuori città ammetto che è pericolosa per sé e per gli altri. Ma in città è la libertà. Me ne avranno rubate venti, a Pisa, di biciclette. C’era un magazzino comunale dove stipavano tutte quelle che trovavano in giro abbandonate: andavi lì e dicevi – quella è la mia. Pagavi una multa da ventimila lire, poi la riverniciavi e via, finché non te la rubavano un’altra volta. Chissà se c’è sempre quel magazzino.
Chissà se c’è sempre Pisa – o anche Berlino.
Chissà se fuori da questa stanzetta c’è ancora vita.