Genbraio. 4.
Non devo poi allontanarmi tanto da questo improvvisato, per nulla comodo, sudicio giaciglio di stracci, cartacce e cordame, per trovare in tutta fretta, seppure a tentoni, un pilastro, fra i tanti a disposizione nelle immediate vicinanze, contro cui far zampillare a lungo un fringuellante getto d’urina trattenuta a stento. Col freddo che fa, sciupo più tempo a cercare presenze nascoste nell’Oscurità insondabile che si spalanca dietro ogni porta degna d’esser definita tale o a fronteggiare la Notte che fiata sulle stecche semi-abbassate delle persiane che a tornare indietro sui miei passi… Rieccomi al… ah!-ah!-ah!, stavo per dire ‘al calduccio sotto le coperte’… Coperte!!!, queste quattro pezze impregnate di polvere, sudore e salsedine ! Ad ogni modo sono di nuovo annidato qua sotto, insonnolito ma pronto a darmela a gambe al primo fondato sospetto d’ostilità… Al termine di una folle corsa lungo gli impegnativi saliscendi di un viottolo tracciato appena in un paesaggio desolato, mi lascio cadere sfinito, precedendo di poco un nugolo di bipedi esagitati, sull’ispido manto erboso che ingiallisce la sponda digradante di un acquitrino… Solo, inerme e senza forze a pochi passi dai miei inseguitori… non la vedo bene! E invece costoro, impegnati, dacché mi hanno raggiunto, a discutere, non solo non mettono in atto contro di me nemmeno una delle vessazioni che pavento, ma addirittura, come se non fosse evidente il mio sfrontato origliare – alla paura è a poco a poco subentrata una curiosità morbosa – mi ignorano!… Un impetuoso fiume di parole rumoreggia dentro le mie orecchie… parole grosse… parole che non capisco perché abbaiate in una lingua che non è la mia… E giusto quand’ormai l’animoso diverbio pare debba da un momento all’altro degenerare, ecco che tutti quanti, tranne il tipo occhiuto incollato al mio fianco come un siamese, già scalzi e con i pantaloni arrotolati allasanfasò fin sotto le ginocchia, si staccano da me, entrano in quel mezzo metro scarso di acqua putrida pullulante di larve di zanzare e, sguazzando nella melma maleodorante, stanano strani pesci dal corpo affusolato e con un muso simile per forma e dimensioni a quello di un grosso cane coi baffi di una foca che, disorientati dalle urla e dalle sguaiate risa di scherno dei persecutori, si spingono, spiccando balzi incredibili, fin sulla terraferma… Ho i piedi che penzolano nel vuoto e la testa china verso i maliosi baluginii di un’acqua di un verdastro fumoso… qualcosa o qualcuno precipita giù volteggiando tanto lentamente da snervare l’aria… sento echeggiare uno splashhh… trattengo il respiro… poi vedo il mio corpo inanimato affiorare in superficie. Di quando in quando, ho l’impressione che accenni qualche goffa bracciata nell’acqua torbida increspata dal viavai di onde formatesi nell’impatto. Ma non è da escludere che sia proprio questo disordinato accavallarsi di onde a provocare quei fuorvianti, burattineschi movimenti… Queruli belati ovini mi distolgono dall’incatenante Abbaglio… mi strattonano e poi mi spintonano in ogni direzione, costringendomi a tangheggiare per non perdere l’equilibrio… Subito, gli occhi si volgono allarmati ed istintivamente protettivi verso il roveto poco lontano da dove, risonando più forte, gli urticanti richiami animali sembrano provenire… sto già per correre in aiuto ai due agnellini gemelli impigliati tra mille acuminate spine ricurve quando, più veloci di me, ferme mascelle canine si serrano sul polso bloccandomi. Guardo male il cane… Chiudo gli occhi… il pensare intensamente che tempestive, soccorrevoli mani amiche stiano bastonando sistematicamente il cagnaccio, mi libera dalla dolorosa stretta mascellare… liquorose gocce di sangue colano dall’arcuata impronta di zanne che mappa il mio polso e arrossano l’acqua stagnante…