(Le scorciatoie vennero presto riconosciute come una terribile perdita di tempo, inevitabile
per noi ragazzi.)
Passa, uguale a se stessa, l’ora più ampia
al largo di zollature e rotture di terre e di clausura.
Lasciata un’effige fissa, una virata gentile,
dai banchi e dai sermoni
planando polverose ambizioni un gergo provinciale.
I CIPRESSI
(Sbracciandosi ondeggianti e dalle fini punte, interrogano l’arrivo delle nostre anime
conniventi.)
Prego, accomodatevi.
Attraverso i nostri aghi profumati.
Con fiducia, da questa parte.
Prego, compari.
Allora andiamo, sopra un riposo di nuvola al giaciglio
grandiosamente coccolati, ogni asfalto
e cognizione alle spalle. Appaiono fraternizzare,
l’intermittente presenza di una farfalla,
e la ruota di bicicletta che spicca
dall’erba alta: in traiettorie adiacenti, le due,
irrequiete alla battuta
tratteggiano i cieli sultani,
capriole, mulinelli
nel progressivo decrescendo loro.
Il nostro tempo, impeccabile e snello riprende a remare,
frusciante, irregolare, vacilla il nostro bastimento.
LA ZATTERA
(Dalle lacere intenzioni, di prua una vegetazione riarsa sussurra mezzo sommersa.)
Il filo spinato si assottiglia,
il taglio della carta che postula l’esistenza
pensieri sepolti posti all’inseguimento
in ogni angolo, dietro occhi iniettati di sangue
un bestiale orgoglio qui s’arena.