EPICURDO

Epicurdo (330 a.C – 263 a.C.) fu parassita sociale, abile argomentatore, affabulatore e poco eminente filosofo ateniese di origini curde. Sostenne un sistema cosmologico d’invidiabile semplicità: tutto succede secondo il caso insondabile, nulla ha senso, le leggi di natura non fanno che confonderci, gli dei esistono oppure no, oppure forse. Le sue tesi e le strategie eristiche con cui le difese non furono molto dissimili da quelle di alcuni dei sofisti più radicali, ma la sua originalità fu nell’insegnamento morale. Fortemente propenso ad una filosofia pratica, fondò una comunità nella periferia ateniese, in uno stabile abbandonato sottratto alla collettività a cui fu presto cambiata la serratura. Insegnò ai suoi discepoli che, poiché tutto succede in modo inspiegabile e assurdo tanto da rischiare di farci sprofondare nell’angoscia più nera, il corretto atteggiamento etico è il tenersi costantemente occupati in cose futili, riempiendo a tal punto le proprie giornate di inutilità da anestetizzare il senno. Amava intrattenere lunghissime e pedantissime dissertazioni su tutto, discutere per ore con i suoi allievi su un’ape che si posava su di un fiore o una pietra o sulla sedia su cui sedeva. Incentivava il gioco d’azzardo, l’ubriachezza, il ballo, l’acquisto di ogni tipo di orpelli luccicanti, il tatuarsi, il leggere poesie. Sostenne la bontà dell’accumulo smodato e senza senso di beni di ogni tipo e oltre ogni bisogno, predicò la dissolutezza nell’amore e nel nutrirsi. Contribuì anche alla formulazione del concetto di perturbabilità, individuato in quella predisposizione dell’animo a preoccuparsi di tutto per impedire a sé stesso di applicarsi in qualcosa. Nel suo trattato pedagogico, giuntoci in maniera estremamente frammentaria, pare abbia difeso la necessità di diseducare gli infanti, insegnando loro assurdità e scorrettezze, ubriacandoli e colpendoli alla testa con un bastone. Non si creda però che predicasse una qualche forma di misticismo o di ascesi, sostenne infatti sempre la necessità dell’indagine e della discussione, sottolineando però come queste debbano essere stocastiche e il più sconclusionate possibile. Si ricorda che non lavorò mai, aborriva infatti l’idea di dover provvedere al sostentamento di sé, impiegò piuttosto i suoi discepoli meno propensi alla teoretica negli orti dello stabile occupato e annoiò i cittadini con continue richieste di elemosina. Pare che amasse presentarsi nella pubblica piazza, tutto agghindato, ballando, per fermare i passanti e chieder loro qualche moneta per pagarsi un ipotetico viaggio a Sparta, onde poter rientrare presso la famiglia.

 

dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)

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