da I GIORNI QUANTI (33)

“I vermi mandò a dire , ah! le guance/ Mi mangiano le guance. / …” Giuseppe Ungaretti.

In questo lungo (rispetto al tempo abituale dei finesettimana) periodo di riposo, sento più costante, più inaggirabile il dolore alla caviglia. Non riesco propri a immaginare la mia trasformazione in overcraft quando sarò tornato su on.

Dall’ufficio mi telefonano per chiedermi certi numeri. Li cerco. Dall’agenda sono spariti. Impossibile rintracciarli al computer perché quando digito il primo nome sul programma di rubrica, si esaurisce la batteria. Dall’ufficio mi richiamano e detto numeri a casaccio, smorfiandoli dal sogno di stanotte. Eravamo in ufficio (e penso 0), un ufficio in aperta campagna (9) che però all’interno era come la mia stanza d’ufficio (0). E c’era una mia collega (5) che mi sembrava di conoscere bene come collega ma non aveva la faccia di alcuna mia collega reale (5), non aveva un nome, aveva un corpo (24) che sentivo nettamente, soprattutto quando i nostri polsi si sono sfiorati per telefonare. Lei mi ha chiesto se poteva usare il mio telefono grigio (7), io le ho risposto sì prendendo in mano la cornetta del telefono beige e allora è successo che i fili si sono imbrogliati e per sbrogliarli la peluria dei nostri polsi (07) si è elettrizzata e io ho sentito il suo corpo (24), il desiderio del suo corpo (25) e penso anche lei anche se ero io che stavo sognando. Infatti ha riso stupidamente e ha cominciato a digitare i numeri chiamandoli a voce alta (090552247072425), così io non ho potuto continuare a digitare i miei perché si confondevano con i suoi, come prima i fili e come prima i nostri peli ma, ora me li sto ricordando tutti (09055247072425), uno dopo l’altro nella giusta e sbagliata successione (09055247072425) e mi sembrano numeri pertinenti. Dall’ufficio non mi richiamano più.

 

 

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