Consanguineo del meno anonimo Galileo, Annibale Galilei (1567 – 1632) condivise con lui la passione per l’astronomia e per le scienze naturali. Mediocre in tutto, quando seppe che il nobile parente aveva costruito di propria mano un telescopio per scrutare la volta celeste volle imitarlo e se ne fece uno pure lui. Il marchingegno era di dubbia qualità, ingrandiva poco o niente e consisteva a grandi linee in un tubo di cartone con qualche vetro rotto incollato all’interno, montato poi su di un trabiccolo di legno. Puntandolo contro il cielo stellato Annibale dimenticò di aprire le veneziane e si vide servita la maestosità di una volta immobile, monocolore, priva di stelle e corpi celesti. Dedusse quello che c’era da dedurre e compose un inutile trattato sulla fissità del cosmo e godette in vita di grande fama. Gli ecclesiastici apprezzarono il fatto che, se tutto è immobile, la vexata quaestio di che cosa succeda esattamente quando nella Scrittura Giosuè ferma il corso del Sole perde di significato. Essendo tutto fisso non sono richiesti né un intervento magico né gli astrusi calcoli che impone il modello tolemaico per salvare i fenomeni. Tutto sta lì, immobile, e Giosuè si limita a prenderne atto – una volta corretto il fastidioso errore di traduzione. Le stelle e tutto il resto non sono che un prezioso e bellissimo regalo che Dio ci fa collocandolo direttamente nell’intimità della nostra anima, e non serve indagare oltre. Annibale Galilei fu accolto al palazzo papale e divenne una sorta di scienziato di corte, voce delle verità naturali così come corroborate dalla Bibbia e certificate dalla Chiesa di Roma. Cardinali, vescovi, papi e teologi non sono certamente intelletti men che eccellenti e quello che fecero con Annibale verrebbe oggi classificato come circonvenzione di incapace. Gli ecclesiastici si divertirono infatti a fargli sostenere le teorie più inaccettabili per lo scienziato moderno: che la gravità non è una forza, che la causalità non è una legge necessaria della natura, che l’ordine dell’Universo non sia implicito nelle leggi di natura ma piuttosto un’inspiegabile (salvo ammettere l’esistenza di un Dio legislatore) coincidenza ed altre assurdità ancora. È curioso prendere atto del fatto che gli scienziati contemporanei, al contrario di quelli moderni, si attestano per lo più su posizioni simili restituendo ad Annibale Galilei una dignità maggiore di quella, inesistente, che gli fu attribuita. Ormai avanti negli anni, dopo aver dimostrato di tutto e di più, nel Dialogo sopra un pavimento ragionò sull’ontologia medesima di quello che riteneva essere il vero metodo scientifico: fidarsi del comune buon senso, che sennò si diventa matti o, peggio, si finisce in ginocchio di fronte a qualche tribunale a giurare di esserlo per aver salva la pellaccia.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)