MANALA SIVA

A lungo mi sono addormentato con un orologio fermo al capezzale. Volevo bloccare il tempo, o almeno rallentarlo, ma non sapevo come fare. Mi dicevo che non poteva non esserci un sistema, un trucco, uno stratagemma capace di rallentarne la corsa, e se c’era, doveva per forza esserci un uomo che lo conosceva e che forse era disposto a rivelarmelo, magari in cambio di un’ onesta somma di denaro. Il problema era trovarlo. Mettere un annuncio sui giornali più diffusi mi parve all’inizio una buona idea, ma dopo averci pensato qualche giorno la scartai: era ridicolo, tutti quelli che l’avessero letto avrebbero pensato a uno scherzo, e io stesso, se non fossi stato l’autore dell’annuncio, mi sarei messo a ridere. Che fare, allora?
Far circolare la voce, parlare con degli esperti del ramo, fare un viaggio in Svizzera, dove da secoli si esercita l’arte di costruire macchine per misurarlo millimetricamente, leggere i libri dei fisici che studiano il caotico e imprevedibile sottomondo delle particelle elementari? Non riuscivo a decidermi; ma poi una sera ricevetti una telefonata da una donna che si chiamava Amara, la quale disse di sapere che avevo un problema e che lei forse poteva aiutarmi a risolverlo. “Manala Siva”, scandì dopo tre secondi di silenzio. “È questo il nome dell’uomo che deve cercare”, aggiunse. Così mi misi in viaggio per incontrare Manala, dal quale speravo di ricevere la formula (l’accorgimento?) applicando la quale sarei riuscito a frenare la marcia inarrestabile del tempo.
Manala Siva era pachistano ma da dieci anni viveva a Oslo; in questa città silenziosa e fredda dirigeva una scuola avanzata di yoga e insegnava buddismo tibetano. Mi accolse nel sobrio ufficio della scuola. Era un uomo magro, dimostrava una sessantina d’anni, portava degli occhiali rotondi senza montatura e sfoggiava una lunga barba bianca. Conosceva il francese e in questa lingua gli dissi senza preamboli il motivo della mia visita.
Manala sorrise, mi prese le mani e disse: “Il tempo è una questione complicata; più ci pensiamo e più si complica. Meditare sul tempo è una perdita di tempo”. La freddura lo fece ridere di gusto, come se la sentisse per la prima volta. Ero perplesso, e già quasi deluso. Ma Manala non aveva finito. “Un mio vecchio maestro” continuò, “era convinto che per rallentare il tempo bastasse dormire tenendo accanto un orologio fermo, ma non uno qualsiasi, solo uno degli orologi di legno intarsiato fabbricati da un orologiaio di Smirne nel 1853, l’anno in cui è scoppiata la guerra di Crimea. Il maestro ne possedeva un esemplare, che aveva inceppato di proposito affinché producesse il sortilegio di rallentare il cammino del tempo. Quell’orologio è da tempo mio, ma non l’ho mai messo alla prova; se vuole, da oggi sarà suo”.
È così che ho cominciato a dormire con un orologio fermo al capezzale. È così che sono riuscito a ingannare il tempo, che con imperturbabile pazienza ci consuma.

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