da I GIORNI QUANTI (41)

Sul tetto, le intercapedini tra le travi sono state turate da strisce di balsa, tutto poi è stato ridipinto con il ducotone bianco. Oggi, sembra la mia prima maglia della Juventus lavata da mia madre con la candeggina.

Una volta la casa di città, al ritorno da ogni villeggiatura, era piena di sorprese. Non ce ne sta nemmeno mezza, questa volta, quando ci arrivo alle cinque del pomeriggio, sudato di un sudore appiccicoso che in campagna avevo dimenticato. Ritornare era la rinascita e ora è sempre più premorte. Nessun oggetto combacia con quanto pensiamo di avere lasciato, con le aspettative confortate e imposte dalla distanza. I bar, la vita nuova, fuori, dalle finestre, sono un’immagine di stanchezza, di già visto e vissuto prima di ricominciare. Che sia stata un po’ di nostalgia a viziare la prospettiva del ritorno? Di sera, appena tornato a casa, l’allarme spompato ma estenuante di un ufficio del centro mi ritorna in segreteria telefonica dall’amico cui avevo dato appuntamento ed era arrivato in ritardo. Andiamo in un altro bar. Condizionato, prego. Salutiamo un cassiere che non ci risponde. Chiamiamo il cameriere che forse è sordo, fissiamo reggendo gli occhiali come un binocolo il presunto padrone del locale che ha altro cui pensare e non si accorge di noi. Invece, appena arrivati, ci aveva pregato di accomodarci un signore seduto a un tavolo all’esterno , che poi ha pagato il conto e se ne è andato: un cliente. Per questo osserviamo, per capire con chi abbiamo a che fare, dove siamo. Se c’è un vero capo cui rivolgerci e a cui fare le nostre rimostranze, o ordini, o pietose richieste di avere al piuppresto un Negroni. Ma se anche i padroni di bar sono soltanto e appena clienti, chiedo, che città è questa? chiedo al mio amico. Siamo seduti tra una torta gelato di ciliegie e fragole e una bruna diciassettenne con coscia e ombretto sulle palpebre da sollevatrice di pesi, che sta fingendo di sfogliare un programma di appuntamenti culturali curato dal mio amico stesso. Cosa dovremmo andare a vedere ancora?  Perché dovremmo uscire? Perché sono uscito mi domando mentre lui mi domandala stessa cosa. Perché non siamo rimasti fuori?

Torno a casa da solo

Non ti perderai?

Tranquillo.

E invece mi perdo. Non senza volerlo.

 

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