da I GIORNI QUANTI (47)

“…e da morosi di sangue vidi riemergere la testa dei demoni scatenati: mostri di fantastica orridezza, coccodrilli con ali di pipistrello, serpenti con corna di cervo, scimmie col capo coperto di conchiglie imbutiformi, vitelli marini con barbe patriarcali, volti di femmine con mammelle al posto delle guancie, teste verdi di cammelli, esseri ibridi d’incomprensibile contaminazione, tutti con freddi e scaltri occhi sbarrati, con lunghe zampe piumate protese a ghermire il monaco violinista…” Henrich Heine

 

Chiodi.

Lui si ritira, nemmeno troppo stanco, fresco, perché più tardi forse piove e, comunque, non è lontano l’autunno. Sono le due del pomeriggio. Lei ha una sottanina nera, stropicciata e leggermente sudata. Il suo corpo, per il resto nudo, si agita da una buona mezzora sul letto di ottone blindato. Forse le manette che la tengono legata agli assi della testata le fanno male, per questo si agita così, si dimena. Schiaffa una guancia a destra, poi l’altra a sinistra. Non sappiamo se lui, entrando, ritirandosi asciutto, con i suoi bluginz e la maglietta grigia l’abbia vista, sappia che lei è lì, si sia soffermato nella stanza da letto solo per togliersi l’orologio. Lo vediamo salire al primo piano, raggiungere la cucina, sedersi al tavolo e spizzicare un pasto precotto e troppo freddo per essere ancora consumato. Poi scendere, stranamente più leggero, asciutto, aprire la porta di casa mentre sulla strada sta passando un trattore guidato da un muratore a torso nudo, abbronzatissimo, con un berretto rosso.

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