LA CASA VUOENA

Apparentemente normalmente vuota è recintata da quattro mura di
cemento bianco poi dipinte giallo ocra che colora tutti i muri
grezzi della città. C’è una porta color legno bruciato all’ingresso.
Bruciato dall’esterno. Sarà freddo dentro. Magari piove.
Cose ammassate vissute malamente, sopravvissute.
Urla di innocenti liberi da giudizi rimbombano in una stanza vuota
piena di uomini e di donne vestiti d’abiti antiquati. Pensare a
famiglie allargate a feste comandate convivialità risate sicurezze
familiari. Niente di tutto questo vive in quella casa. Nessuno
conosce l’altro.
Un finestrone che si chiude male un freddo cane dall’esterno del
vetro rovinato tra legna scardinate dal tempo. L’ultimo colpo di
martello lo avrà dato Garibaldi. Quella maledetta fessura mette in
luce le loro fredde vite. Accendi i riscaldamenti.
Il tempo è brutto fuori e l’albero di mandarino ha preso il
temporale che sta continuando a cadergli addosso con fulmini,
ravvicinati e regolari. Sulla faccia sparite le linee di ogni di
dolcezza. C’è bisogno di ossigeno. C’è bisogno di ossigeno.
Gli uomini si contano le donne in sovrannumero figlio 1 figlio 2 e
via dicendo. Un tavolo per quattro allungabile lastre di legno
larghe tanto da coprire due se non otto sei quattro posti ancora
disponibili o forse anche altro. Le condizioni apparentemente
tutte. E’ il bagno in più per coloro i quali non pisciano in piedi
come un tempo se il ricordo è quello usavano fare gli uomini tra
gli egizi.

Corre una bicicletta vestita da un manubrio bianco gelo uno
scheletro nero cielo senza stelle, corre per la strettoia. E’ lunga
quanto me disteso a splash. Giochi come puoi quando vuoi se ti
comporti bene. Come quando una madre sgrida il proprio figlio.
Gioca figlio mio basta che non lo ripeti più.
Un abbraccio che sa d’amore si veste di umanità essenziale la
sopravvivenza non si soddisfa del pane bastano degli abbracci
preferibilmente e reciprocamente dolci per saziare un cuore che
piange l’abbandono dell’amore primordiale fino alla fine dei suoi
giorni. Un abbraccio consola animi nobili di povertà economiche.
Un abbraccio ha il volto di Cristo risorto vestito di bianca luce
coprente lo scuro buio della tomba. Un abbraccio rinfranca un
cuore instabile freddo soltanto per qualche istante. Non basta per
sopravvivere in eterno.
Pane spezzato da mani nemiche sporche di denaro. Affetti affettati
dall’insolvenza finanziaria o dall’indecenza sentimentale. Che
sudicio mondo che attende un feto in grembo annegato in liquidi
puri privi di ossigeno.
Luogo sconsacrato di falsi miti. Terra di incontri insoliti periodici
figli di passioni spassionate inferte dal sole mattutino. Come alba
come aria come ancora. Aria viziata dall’uomo infedele a sé stesso
prima che all’altro.
Cielo e terra si equivalgono nel giorno d’estate – sorridono
sincronici – respirano l’azzurro come noi ad occhi aperti.
Quel che va bene per te va bene per me oggi e anche domani,
quando il menu sarà cambiato. Non sarà cambiato il nostro stato.
Siamo belve feroci per loro.

Belve giudicanti osano privarsi di qualche molecola d’acqua – che
gli avanza certamente – per provare compassione di un abbraccio
sincero di innocenti che ti riportano nudo in una stanza vuota in
attesa di tua madre. Che non arriva. Che non arriva ancora.
Rami della stessa foce non rientriamo in un solo palmo mentre ci
stringiamo attenti all’uomo infame che ci avvinghia. Ci vuole
soffocare. Magari vuole provarci di uno di noi. Abbiamo il 6G,
bastardo.

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