DA FRANCESCO PER GAETANO ALTOPIANO

(Scritto da Francesco Gambaro per la presentazione di un libro di Gaetano Altopiano)

 

 

Con Gaetano Altopiano ci vediamo spesso. Lui passa la mattina dal posto dove lavoro. Telefona, scendo e ci vediamo al bar. Al bar lui di solito ordina un caffè e ne beve mezzo. Io una birra e, di solito, anche un’altra. A quel punto, dopo avere consumato ed esaurito il rapido resoconto dei guai e delle gioie quotidiane, raggiungiamo un equilibrio perfetto. Lui con mezzo caffè io con due birre. E cominciamo a parlare di poesia. Cioè lui soprattutto, perché quando già è arrivato al primo punto e virgola, io sono ancora indietro, alla prima virgola, o all’immagine del nostro comune meccanico di Petralia, che ogni volta che decide di fumare, spezza la sigaretta. Lui si chiama Pietro Cassaniti ma per Gaetano e per me è l’Eneide e l’Odissea, perché è stato il meccanico di Ninni Vaccarella ma non solo per quello, perché ogni volta ci rimette in sesto le nostre utilitarie e le nostre teste, fingendo siano Ferrari. A me Gaetano, sin da quando lo conosco, ha spiazzato perché parla di poesia come si può parlare dei pali della luce. O come un figlio che si siede accanto al cadavere del padre e gli dice: “Allora papà, se ne sono andati tutti, siamo solo noi due, ora puoi raccontarmi cosa ti è successo, però non agitarti troppo, mi raccomando”. Quando Gaetano parla di poesia, gli occhi gli luccicano. Io lo ascolto. È in un altro mondo. In un altro altopiano. E anch’io lo sono. Un poeta, mi sembra di capire da quello che dice, deve anche sapere guidare un trattore, e battere a tappeto tutti i tabelloni pubblicitari da Marineo a Palermo. La poesia di Altopiano è armata di quella lingua che viene dalla strada e non dalla letteratura. Scopiazza grafiche da depliant di saldi disdegnati da tergicristalli elettrocomandati. Ma puzza di bitume e per questo è un orizzonte costante.

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