Rosenthal (1888 – 1953) fu per la maggior parte della sua vita ingegnere navale. Già quarantenne gli capitò di assistere ad una lite tra operai in un cantiere di costruzioni di pescherecci e, folgorato dall’incomprensibilità dei dialetti rispettivi dei contendenti, decise di dedicarsi alla filosofia del linguaggio. Scrisse un poema in versi di straordinaria eleganza e ancor più straordinaria complicazione, ispirandosi ai personaggi dell’antichità, quando la filosofia veniva esposta in forma poetica. Tutto quello che segue è di una tale complessità per l’umanista, resa ancor più indistricabile da un uso ermetico della lingua e dal voler piegare i concetti al conteggio delle sillabe, che è difficile dire di che cosa si parli. Chi si è arrischiato ad affrontare l’opera sostiene che ogni singolo problema emerso nella storia del pensiero sia in essa o risolto o ridotto all’assurdo. La prova ontologica dell’esistenza di Dio, a titolo di esempio, viene paragonata ad un calzino e rigirata di conseguenza. All’aporia del nulla tocca una sorte migliore, riformulata come un’operazione aritmetica, viene risolta e la soluzione è cinque. Tutto questo avviene con l’ausilio di un metodo logico di analisi linguistica che a tratti sembra riportare la stessa logica a metafore dall’altissimo valore poetico. Il principio di non contraddizione viene così ridefinito in “il vento accarezzava la chioma della sera/ arcigna e ridondante/ con mano di lava e palmo di gramigna/ se solo sapessero i barbari/ attendere, anziché aggredire”; il principio di identità invece è “rosee dita di tramonto/ si sciolgono nell’eterea eternità/ e maree di uomini si riversano/ sulla mia solitudine di marzapane.” Non credo di aver colto il senso profondo delle sue rivelazioni e poco aiutano gli scritti minori che secondo alcuni ne chiarirebbero la portata. Una miriade di ricercatori sconosciuti, di quelli che infestano le università come zanzare accaparrando dottorati, ha raccolto ogni nota, lista della spesa, fattura del dentista lasciata da Rosenthal in altrettanti volumi e commentari che non hanno mai guadagnato le luci della ribalta. Poiché la sua grande passione era lo sport, detti approfondimenti non aggiungono nulla al suo poema e si riducono in genere a resoconti di partite di calcio o, nel caso delle liste della spesa, ad elenchi di ortaggi. Convinto di aver messo la parola fine alle grandi domande dell’umanità si ritirò a vivere in una grotta nelle Alpi, praticando la mistica e l’ascesi. All’età di cinquant’anni, quando un pellegrino gli chiese se stesse per piovere, si rese conto che c’era ancora una domanda lasciata senza risposta. Rientrò in società e scrisse un libro di una sola parola, “sì”. Riappacificatosi con le inquietudini che lo tormentavano, morì poco dopo.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)