STRALCI DI MAIL
da Francesco ad Alfonso
(2007)
Mi torna in mente un tizio si chiamava Arthur Bond che aveva un verme in una coscia. Questo per anni e anni, se l’era preso nelle paludi della Lousiana quando da giovane ci lavorava, nelle paludi. Se l’era portato appresso per tutta la vita quel verme nella coscia destra. C’erano periodi anche piuttosto lunghi, diceva Arthur Bond, che se ne stava buono buono, ma poi ecco che s’incazzava e armava un casino dentro di lui, allora diventava cattivo e dava in escandescenze, diceva Arthur Bond, lo pungeva lo mordeva lo bruciava, diceva Arthur Bond, e fra pruriti e fitte era un tormento. Era Arthur Bond stesso a raccontarci che in quei momenti dava fuori di testa.
La magnifica traduzione è di Ottavio Fatica (chiamarsi così è un destino) è in una edizione del 1990 della rimpianta Theoria. Penso sia facilmente recuperabile, magari attraverso Fahrenheit, e comunque Goyen, che conobbe Scott, sta secondo me tra due maestri del racconto: Flannery O’Connor e James Purdy. Ma se nella torta ci mettiamo il Salinger dei pesci banana (trascurato da Baricco), l’olimpo è ricomposto, figurativamente anche, come certe tue montagnole topo-tipografiche.
(11 ottobre 2007)
Solo un refuso, ceri al posto di certi.
Sarà perché sono un cancro, perdippiù asmatico, ma sono sceso dalla RAI come un cane bastonato. L’esprit d’escalier (non so se si scrive così, comunque quello di pascal) mi ha rinfacciato le volte in cui ho perso il passo e mi sono arenato e poi su una domanda come quella sui figli mi ha pesato di più il fatto che era la prima domanda che dovevo aspettare e invece di rispondere che nei miei racconti ricorrono “semplicemente perché ho due figlie”, mi sono arrampicato e sono scivolato sul più stupido degli specchi.
Sai, trent’anni fa ho smesso di giocare a scacchi non perché venivo sistematicamente battuto dal mio insegnante, cioè mio padre, ma per gli insostenibili maldistomaco che ogni partita mi causava. Asta Alfò!
(27 ottobre 2007)
ho dovuto rileggere Cento madri. Trovarvi gli scarti, dunque, anche linguistici, che ricaricano in corsa la scrittura delle mie ultime cose, è stato per me arduo: nel tuo racconto sono dispersi, affogati all’interno di un fitto ordito (lavoro di cucito). ma ci sono, sono nella spiazzante mutanza del figlio e quindi nelle diverse angolazioni di prospettiva, nell’attesa di un fatto o di fatti che, quando finalmente accadono, sembrano tutto tranne che fatti e, invece, proliferazione di immagini, nell’incalzare dell’onomatopea (sino quasi a diventare tessuto musicale) o nelle intrusioni sonore (sino a quasi dare corpo al non senso dell’essere). Russell diceva che basta chiudere gli occhi perché il mondo intorno cessi di essere. Non c’è anche se forse continua a esistere. Tu scrivi che il mondo è percezione, ma la corrispondenza sparo/sportello-che-ci-si-chiude-alle-spalle è un esempio ancora più forte e centrato. Chiarisce la dicotomia morire-partire che mi pare sia il filosofico collante di Cento madri. Ma Cento madri è soprattutto una favola, per ragazzi per adulti per adulti-ragazzi.
(22 ottobre 2007)
le donne raccolgono le ulive e ogni tanto scompaiono nella nebbia. il resto è passato.
rileggo American Dust di Richard Brautigan. una delle tante ancore che dimentico volutamente nella libreria di campagna. comincia così. quel pomeriggio non sapevo che la terra aspettava di ridiventare una tomba nel giro di qualche giorno appena. peccato non potere afferrare il proiettile in corsa e respingerlo dentro la canna del fucile calibro 22 perché si riavviti nel caricatore e di lì dentro al bossolo, come se non fosse mai stato sparato o nemmeno mai caricato.
nel 1982 Brautigan era ancora sotto l’effetto della visione di Matrix. buona domenica da ciccio
(8 novembre 2007)
quante cose mi dici in poche rughe. rughe, ho scritto bene? é un settimana che raccolgo ulive (olive ho scritto bene?) e ho fatto la stro-stro-stronzata di coricarmi che così la terra umida e incazzata si è presa la sua vendetta e ho 38. Sì lo so ho detto all’oculista che se ne è accorta visitandomi, ma perché non se n’è rimasto a casa con 38. Io avrei voluto eiaculare per i suoi occhi che, dopotutto, sono un fumetto letterario, non ti pare. Però certe fortune capitano solo a Roger Rabitt.
Giuro, non peptonizzerò più.. Cicciiapresto
(23 dicembre 2007)