Da alcuni giorni e albe, sono inquieto. sono avvolto da questa parola: aff-tha. ma non
riesco a farla parlare, a bucarla. progetto, allora, di incrostarla con un raccontino. di
chiuderla così, tentando di soffocarla, presumendo che solo così si aprirà – per evitare
di restarci soffocata.
Ma il raccontino non parte, ha bisogno di un’azione, un polpastrello incastrato da
liberare. non sento niente, le mie orecchie ciondolano, la mia coda è tranquilla,
Bè, questa è anche la giusta condizione per portare a galla la ricotta che non c’è. c’è
soltanto questa culisculis, quest’aff-tha che zanzareggia nell’aria.
Mi esamino la pelle, dentro e fuori. controllo il funzionamento del carburatore,
lubrifico il pinnacolo, riassaporo le arance: niente.
E se AFF-THA fosse l’incognita di Niente?
Questa che ora comincio a misurarmi è proprio la prima puntura, alla tempia sinistra.
Mi guardo allo specchio. scopro prima l’arrossamento, poi il gonfiore. Evito di
continuare a guardare la parte, non vorrei facilitare il compito al veleno. supero
quest’istante e mi tocco. niente. mi guardo la punta del dito: è rossa. mi guardo la
parte: c’è uno sbaffo di colore, niente gonfiore.
Che cavolo sta succedendo? C’entra in qualche modo l’aver visitato le mostre dei
giovani Ognirizzo e Pene? o si tratta di subcoscienza avventizia in libera uscita, che
non trova la via di casa e incrocia il mio splendore.
Ma io proprio non riesco a svegliarmi.
Aff-tha continua a grattarmi la nuca.