da I GIORNI QUANTI (67)

In questo momento mi piacerebbe morire in campagna. In questa campagna che è ormai la mia terrazza, in questa terrazza che è ormai la mia campagna. La mia terrazza e la mia campagna hanno l’edera (che non è la famosa edera di Carturi). Nella terrazza l’edera è sopravvissuta senza crescere. La amo per questo. C’è anche l’ulivo e il papiro dentro la giara. E una pianta grassa che spinge contro la porta della lavanderia. Il cipresso, naturalmente, che mi chiede, ogni volta che lo guardo: saprò odiare un frigorifero? Rispondo che sicuramente si, saprà odiare un frigorifero. Gli rispondo ogni sera allo stesso modo perché ogni sera mi fa la stessa domanda. Il cipresso non è l’unico ospite paranoico della mia terrazza e della mia campagna. C’è anche il frigorifero-ripostiglio che, invece, incalza con domande del tipo (ma copia il cipresso): si può odiare un cipresso. Un frigorifero sì, rispondo, senza darmi pena. Un frigorifero sì, rovina i formaggi, impuzza pure di San Daniele gli attrezzi da giardinaggio.

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