Mentre in Francia si dibatteva se la scelta più oculata fosse il suicidio o l’ermeneutica, e in Germania chi lo sa perché il tedesco è una lingua difficilissima, il mondo anglosassone del tardo ‘900 iniziò ad interrogarsi sul tema della mente e della coscienza. Figlia delle elucubrazioni di Locke e di Hume ma costretta ora a confrontarsi con le scoperte della neonata neurobiologia, l’indagine sulla mente ha prodotto una mole di ricerca tale da render vano il tentativo di riassumerla. Brevissimamente, diremo che c’è chi ritiene che sì, chi ritiene che no e chi ritiene che sia meglio concentrarsi sulla risposta piuttosto che sulla domanda. Posta che sia una questione, questo schemino aiuterà a ricordare come le diverse scuole vi si approccino. Daniel Daniel (1936 – in vita), incline ad uno scientismo radicale, s’inserisce in questo panorama con idee rivoluzionarie supportate da dati profondamente inconsistenti. Si ricorderà che Hume negò l’esistenza di una cosa chiamata coscienza sulla base del fatto che, se cerco di individuarla nell’introspezione, quel che trovo non è nulla più di un caotico fascio di sensazioni. Daniel si spinge fino a negare le sensazioni. Convinto che la mente sia da intendersi come una macchina, non nel senso di un computer guidato da un programma ma di una macchina da cucire a manovella, ritiene che la questione sia riducibile alla pura biologia, quindi alla pura chimica, quindi alla pura fisica delle particelle. Povero in canna, all’epoca delle sue prime ricerche sperimentali non poteva permettersi né computatori né i complessi marchingegni radiologici per la mappatura del cervello. Tutt’altro che scoraggiato e sorretto dalle sue convinzioni meccanicistiche si concentrò allora sullo studio di semplici oggetti quotidiani, come termostati, frullatori, aspirapolvere. Appurato, osservandoli, smontandoli e dialogando con loro, che essi non sono senzienti, ne concluse che lo stesso vale per gli umani. A chi s’arrischia di fargli notare che nel caso dell’animale umano abbiamo comunque a che fare con un soggetto capace di risposte complesse agli stimoli ambientali sorrette da atteggiamenti intenzionali, Daniel risponde che come una macchina da cucire a manovella esso non è in realtà che un meccanismo azionato da qualcuno. Chi? Un fantasma. Tutte le entità cosiddette coscienti sarebbero dunque per lui sistemi di ingranaggi biologici che hanno raggiunto un livello di complessità tale da poter essere manovrati in sicurezza da un’entità soprannaturale. Gli addetti ai lavori, che in questo campo hanno una vera passione per le nomenclature, chiamano tale teoria emergentismo. Riconoscendo egli stesso che l’estrema complessità, che però in realtà è semplicissima, delle questioni trattate rende le sue proposte piuttosto difficili da sostenere con prove concrete, pare si sia recentemente convertito al funzionalismo. Funzionalista si dice di chi mette in secondo piano le domande “che cosa?” e “perché” in favore di quella, certamente più abbordabile, di “come funziona?” – convinto che in qualche vagheggiato futuro dalle descrizioni sorgerà come per magia un quadro in grado di spiegarle. Abbracciata questa fede e cambiato nome, di lui si sono perse le tracce. Questo non tanto perché si sia reso introvabile, quanto perché i funzionalisti sono talmente simili tra di loro da rendere impossibile convincersi che sia uno piuttosto che l’altro.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)