VERMOCANE

 

 

 

(vermocane Specie (Hermodice carunculata) di Anellide Polichete Aciculato Anfinomide marino, noto anche come verme di fuoco, comune nel Mediterraneo, errante, carnivoro, con il corpo rivestito di ciuffi di setole che, penetrando nella pelle, possono infiggere punture dolorose. fonte: Treccani enciclopedia online)

 

Avvistò la nave mentre s’attardava nel Canale di Suez. Avanzava lenta, la prua, accurata, fendeva l’acqua in vista della futura accelerazione in prossimità dei Laghi Amari. Un pensiero di setola sfociò in idea. Di rinculo, trovato un appiglio, s’arrampicò sulla paratia, risalì la fiancata e s’acquattò nella stiva. Tra casse di legno sbilenche e terra maledetta, il vermocane s’acquetò sognando il Demeter e il corso placido della Varna.

 

Errante e carnivoro, il temibile vermocane con il favore delle tenebre s’aggirava per le strette vie dei sobborghi di P. Nell’aria densa del locale, s’impregnava di guazza e di bionda scadente, inciampava in freccette spuntate, s’infilava con agio nella gamba di un pantalone, s’incistava nel polso della manica durante il bicchiere della staffa, pungeva e tormentava, si spezzava e ricreava, monile o collana, s’allungava e divideva, s’arroccava sulle spalle di Lisette ed era boa di struzzo, tra le mani di Fausto si faceva scovolino, bottiglie brillanti come nuove, per la signora Livagnes faceva il paio con il merdolino dei gabinetti. Urticante e borioso, teneva banco fino a tarda ora, quando lo sbattevano fuori e per via s’accaniva con i randagi. Pulci e peste, zecche e ratti e inspiegabili edemi e morti violente. Nel corso dei secoli di impresari che l’hanno messo sotto contratto ne ha incontrati. Di finzione in finzione, in un fortunato scatto del 1912 diventa protagonista di Dinamismo di un cane al guinzaglio, un guizzo su tela, cornice, telaio e movimento, nessuno che sospetti della presenza usurpante del temibile vermocane, il movimento offusca, ottunde, confonde. E lui intanto morde. Nella scorribanda di anni e cappotti rivoltati dei sessanta, il vermocane pensò Arte povera più azioni povere e s’insediò e fece arte e mimetico fu baco da setola. Nel 2004, a Napoli, in una vasca zincata d’alluminio nel blu dipinto di blu di metilene s’annullava in un riflesso, si stropicciava e scotennava, s’incassava e un poco moriva, s’appartava insomma e così spariva. Forse ora è per mare in un container, forse è già tempo di sbarco in Giappone e, visconte dimezzato, rifiorisce in un allevamento di ignari pesce palla che il temibile vermocane, senza remore, avvelena. La Lucrezia Borgia dei sette mari, la Leonarda Cianciulli dei vermi saponificatori, da circo nel fuoco, da celluloide in Rabid, da tempo e maniera, con un po’ di fantasia, non avrebbe lisciato James Bond. S’era pensato di metter vermocani al posto di piranha e coccodrilli ma poi non se ne fece nulla. In attesa dell’estate s’impana di sabbia a riva, ed è fermacapelli, braccialetto da vu cumprà, ristagna in acque calde, galante cede il passo alle meduse, aspetta il suo tempo tra le alghe, un branco di saraghi e una tracina.

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