Michele Dellaquaz (1920 – 1997), italiano naturalizzato francese, fu assieme lo storico delle idee meno importante del ‘900 e uno degli anagrammatori più sottili che il mondo abbia conosciuto. Tipico pensatore post-tutto, ci ha lasciato un’immensa mole di lavori che spaziano come argomento dalla fisica dei quanti alla critica destrutturalista delle ricette di cucina, dalla teoria della teoria scientifica alla storia delle grondaie, dall’ornitologia comparata meta-ideologica alla morale sessuale per come viene rappresentata nei chiavistelli dei portoni in epoca medievale. Intellettuale fuori dagli schemi ma spesso dentro gli schermi, la sua vis destruendi ha colpito quasi ogni campo dello scibile umano senza scalfirlo minimamente. Volutamente confusionario per non ricadere lui stesso all’interno delle categorie dei dogmatismi che criticava, finì per criticare la concrezione cementificatrice e ipoconoclastica della lingua francese – prontamente accusata di veicolare un’ideologia fascista – e per esprimersi in dialetto molisano. Irritato dall’eccessiva fissità dello stesso, inframmezzò i suoi interventi con numeri da circo e urla sguaiate, gli scritti con vignette sconce e poesie. In linea con questo metodo, non produsse mai opere monocratiche, monografiche né monosillabiche, ma si espresse piuttosto attraverso brevi articoli su riviste pornografiche, fumetti per bambini e cataloghi di mobilio. Nonostante il carattere estremamente frammentario dell’opera, che come si è detto mira soprattutto a decostruire le certezze altrui, è comunque possibile individuare una certa proposta di progresso nella disciplina. Secondo Dellaquaz infatti, la filosofia può e deve farsi proteiforme, smascherare sé stessa ed essere sempre pronta a truccarsi per assomigliare a qualcos’altro, scomporsi e decomporsi e fare piroette, rinunciare al proprio fondamento per squagliarsi nei canali dei media di massa secondo un metodo da lui definito radiografico. Difficile fare un’esegesi più precisa, poiché equivarrebbe a tradire l’essenza stessa del metodo teoretico che propone, invalidandone il tentativo di trasmissione. Ebbe un grande successo nella prima parte della sua vita, presto strappatogli quando il gossip venne a sapere di più sul modo che utilizzava per produrre i suoi pensieri e le sue convinzioni: novello Tristan Tzara, ritagliava i pensieri altrui fino a ridurli ad un ammasso di sillabe slegate, li disponeva in una scatola da scarpe, la agitava, e prendeva per buono l’ammasso caotico di assurdità fonetiche che ne tirava fuori. Poiché nessuno ama venir messo in ridicolo, filosofi e critici della cultura preferirono dimenticarlo. Secondo alcuni studiosi, tuttavia, il suo venir messo da parte andrebbe piuttosto imputato all’abitudine di indossare maglioni a collo alto e portare il cappello.
dal Manuale di filosofia fantastica (Link, 2022)