IL SIGNOR T.

Mostri ne avevo conosciuti tanti, mai come il signor T.
Fu che una mattina il signor T sbucò dal sottopasso che portava ai treni.
Torvo, la faccia di carbone, le occhiaie di fuliggine, rughe nette, il tratto di
quando calchi con la biro. Nell’aria attufata, si respirava male. Oscar ci
voleva portare la gabbietta con il canarino. «Sei scemo te, peggio che
svoltare un angolo e imbattersi nel signor Terrore» dissi io che la sapevo
lunga sulle voci che colavano dalle pareti scivolose. «Sono posti dove
succedono cose, pure i coccodrilli, uguale alle fogne di New York.»
Si leggono notizie sui giornali e uno ci crede. Nella cronaca ti dicono questo
e quello e tu pensi che sì, come altro? perché? per come?
Le voci corrono s’inseguono sulle traversine, s’infilano tra i binari. Si
vocifera una scommessa, certi dicono che eravamo due spostati, altri che
cercavamo rogna, chiaro come l’acqua che prima o poi, due derelitti, con la
fame fai certe robe, e così via. Il signor T. si aggirava quando il sole
bruciava la vista e a notte, già dal tramonto, capitava di adocchiarlo, in
equilibrio su un pilone, davanti a una biglietteria automatica a tirar giù
cristi, all’Ufficio informazioni, al banco degli oggetti smarriti.
Io e Oscar l’abbiamo visto da lontano, camminava lungo i binari. Eravamo
in pochi ad avere la fortuna di vederlo. Avevamo deciso di prendere il treno
e invece ci siamo finiti sotto. E adesso le chiacchiere spifferano nel tunnel,
parlano male di noi, di me e Oscar, del pigia pigia e del treno che non era
ancora arrivato, del ritardo che ha portato poi e della sgridata che ti sei
preso, parla di domani prendo la macchina, invece di Oscar, di me, che l’ho
visto girare l’angolo, non parla nessuno.

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