MILLE ERANO LE PECORE

Mille erano le pecore e non prendevo sonno. Si erano accatastate vicino al
capanno degli attrezzi, a un passo dalla siepe. Alzavi la testa e volava una
pecora, la vedevi atterrare pigra, attenta, su quattro zampe, ben accostata
alle altre. Arrivati a mille l’accordo prevedeva che un tot si spedisse
all’ovile. La porta cigolava, camminavi nel morbido, le scarpe insufflate tra
i bioccoli di lana, fino alle caviglie. Era nell’aria tutta, pizzicava il naso,
sfastidiava la gola, idrofilo tra le dita, negli occhi l’odore acre della tosatura,
in fondo, dietro al fontanile, le tessitrici, di lato, a destra, Manlio alla
mungitura, Silverio s’aggira inconcludente con le spalle incrostate di noia,
Marta, di nuovo pallida, separa il caglio, Loris, nervoso, sprimaccia la
paglia con un forcone. Io mi infilo in uno stalletto e osservo la scena da un
buco. Intanto continuo a contare. Milleuno, milledue, milletre…

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