tremodidiviverel’estate: filare

Era d’estate quando avevo allargato braccia e mani e aiutato nonna a
trasformare in gomitolo matassa. Sei il mio arcolaio, diceva, e filava filava,
un filo di bava alla bocca, la limonata sul comò, i semi a galleggiare pigri in
superficie, un venticello indiscreto dalla finestra alle cinque in punto. Ora ci
ripensavo, mentre con i piedi un metro sottoterra e le braccia larghe
sopportavo la caligine stanca delle ultime ore della giornata, negli occhi il
frusciare delle pale eoliche, nelle orecchie le terrazze digradanti vigne, in
fondo in fondo il mare. A un metro da me c’era piantato Amilcare e, a
seguire, Toni, sua moglie Tecla, la signora Tripodi e l’ingegnere suo marito,
Annina la domestica, Carlo il lattaio, il signor Chimenti e suo fratello
Davide, e giù, giù ancora per tutto il costone fino a valle. Dopo il grande
raduno, avevano deciso che gli abitanti di quel borgo di mille anime,
superati i sessanta, erano da interrare. Il metodo Van Stoppe garantiva
riciclo, sicurezza, portantini con i piedi a mollo, infermiere in vacanza e
posti liberi al cimitero. Sotto controllo militare, ci avevano fatto scavare
buche di un metro circa e, con le mani ancora doloranti di zappa, a casa
avevamo salutato i parenti e indossato l’abito buono. Uno alla volta, ci
avevano intimato di scendere nel nostro buco e ricoperto di terra fino alle
ginocchia. Stavamo lì, in piedi, con la pretesa di germinare, sapendo che
altro che marcire non si poteva. Ian Van Stoppe, l’olandese, colui che aveva
elaborato il metodo che prendeva il suo nome, dopo anni e anni di studi,
avrebbe festeggiato quella sera il suo sessantunesimo compleanno. Il giorno
dopo, quando la signora Tripodi s’era afflosciata per un colpo di calore,
avevano recuperato corpo e buca e lo avevano piantato lì. Non ci faceva
dormire la notte, Misrekening, urlava. Si era sbagliato. Non c’è speranza
alcuna, spiegò all’ingegner Tripodi, c’è stato un errore di calcolo. Tiratemi
fuori, strillava e scalpitava, ma nessuno tra i futuri interrati, ora intenti a
scavare, lo capiva. Nonna intanto era all’ultimo giro di matassa. Il gomitolo
era lì, tra le sue dita, nero, tirato, compatto.

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