Era una di quelle sere in cui Emidio rincasava presto. Si tirò la porta alle
spalle, inchiavardò con quattro mandate, due sopra, due sotto, fece
tintinnare le chiavi nel portaoggetti di cristallo, si slacciò le scarpe appena
oltre la soglia, le sostituì con morbide pantofole di lana merino, ripose le
Duilio nella scarpiera e, con passi lucenti di pattine, raggiunse il salone.
Ammiccante di venature di radica, il mobile bar lo attendeva per il solito
bicchierino. Pasteggiando, con l’aroma torbato e pungente sulla punta della
lingua, affrontò il corridoio. Oltrepassò il comò a ribalta veneziano, evitò il
riflesso nello specchio anticato, abbassò la maniglia della porta della sala da
bagno e fece le sue abluzioni. In camera da letto, deposte le pattine, rimase
in piedi come un gesucristo davanti al servo muto. Si liberò dell’abito con
estrema lentezza, la giacca, i gemelli, la cravatta, la camicia, che slacciò un
bottone alla volta, e mentre i vestiti appassivano lievi sulle curve nodose di
legno, si ritrovò in braghe di tela. La giornata si spegneva oltre vetro, le
guglie i tetti le antenne e le parabole arrossivano di tramonto e
s’incenerivano di buio. Senza pensarci due volte, la manovra ebbe iniziò.
Due colpi secchi, uno a destra, l’altro a sinistra, e la testa, con un cigolare
astioso, girò sulla vite che spuntava dal collo e si staccò. Emidio la ripose
con cura su un ripiano dell’armadio. Aveva le palpebre pesanti, la bocca già
socchiusa di sonno, un leggero tic all’occhio sinistro e un friccicorino di
canfora al naso. Fu la volta della mano sinistra, due mosse abili, via il polso
e la mano finì nel primo cassetto, tra sacchetti di lavanda e biancheria livida
di candeggio. Emidio si lasciò andare sulla seduta posizionata sul retro del
servo muto. Con adeguata pressione stacco il tronco dalle gambe e con la
destra le allineò in buon ordine ai lati del catafalco di faggio. Rimase il
tronco e la mano destra. Emidio, con metodo, tolse la pila alla base del collo
e arrivò il sonno. Gli occhi si chiusero, la mano destra si affloscio, le luci si
spensero. Il ronzare impertinente di una mosca affaticò il silenzio. Dal canto
suo, il servo muto non disse nulla, neanche una parola. Emidio l’aveva
scelto apposta per la sua discrezione.
IL SILENZIO DEL SERVO MUTO
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