Oltre le siepi frementi del ventaglio serale
Laddove il sonno dispone gli alberi al risveglio
Del vento
Aggirando i frangenti scardinati dell’autunno
Sbocciano in parletico triste le dita
Scarlatte d’un angelo avvinato
Col suo volto d’insetto disciolto nel vuoto tremante
E col ghigno disfatto e però luccicante
Dietro l’ordito febbrile e stecchito
Di quel rampicante
Così innaturale e così malato
L’angelo si sta finalmente quieto
Poi la sua mano scivola sul cuore
Improvvisa e veloce come un ragno
Quand’egli vaneggia ancora di soffiare
Il mio regno per un bicchiere