È giusto che una nave si chiami Sestante oppure Bussola o Bompresso (…) Facilmente si dimentica che una nave è un insieme (estremamente complesso) di singole parti e di singoli strumenti; facilmente si dimenticano i marinai che la accudiscono e che la fanno navigare.
Dalla pietra lavorata alla ruota allo scafo trascorrono millenni, ogni nave è millenni di navigazione nel vorticare d’acqua e di rotte.
Allora pretendo che una nave chiamata Sestante trasporti le scenografie della prima assoluta della Turandot da Genova (arrivate via terra da Milano) fino a Tientsin e da lì, via fiume, a Pechino: durante la non breve navigazione gli orchestrali ripenseranno spesso ad Arturo Toscanini che interrompe la recita a metà del terzo atto («Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto») chiedendosi se anche a Pechino accadrà lo stesso.
Nel suo navigare la Sestante pensa al porto successivo (sì, credetemi: anche le navi pensano) – ma questa volta sa che arte e morte, che poesia e malinconia sovrappongono le proprie rotte.
Nessun dorma.