da I GIORNI QUANTI (96)

Gaetano dice che si è poveri se non si ha tempo da perdere.

Io, oggi, passeggiando in questa città – che non smetto di scoprire perennemente invasa dalla campagna, dallo spirito della campagna, anche se dicono che sia (o sia stata) una città di mare.

Una città di contadini, di gente che è venuta a starci e non c’è nata mai, che quando però scappa, più spesso sogna di scappare. Una città piena di punti di fuga, come Chicago attraversata ogni due minuti dagli aeroplani. O come certi quartieri romani a ridosso delle stazioncine interne. Fare una cartina dei punti di fuga di questa città. Io, oggi, dico che si è poveri perché non si alzano più gli occhi. Nelle case, forse, dove si ricrea il piacere della campagna, si alzano le canottiere per il gran caldo, senza paura di mostrare la mammapancia, o si abbassano i pantaloni o le mutandine per convincere qualcuno ad assecondare pietà liberatorie – ma, fuori, gli occhi di chi passa non si alzano né si abbassano. Lo sguardo non c’è. Questo non è l’apocalisse. Ma una domanda dovrei farla a chi senza muovere gli occhi la disegna: “Guardandomi più attentamente non riusciresti a guardarti di più?”

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